Per una religione della pace
Il testo di Joseph-Charles Mardrus (Il Cairo 1868 – Parigi 1949) che segue è stato pubblicato per la prima volta in Francia nel 1918 e in Italia da Lettera Internazionale nel n. 84 (2005). Penserete che la nostra sia un’operazione di archeologia editoriale, ma non è così. Il 24 novembre scorso, c’è stato un gravissimo attentato alla moschea di al-Rawdah, a Bir al-Abed, nel governatorato egiziano del Nord Sinai, in cui sono morti centinaia di musulmani per mano della cellula locale dello Stato Islamico. Miliziani dell’ISIS che se la prendono con i musulmani più moderati, i sufi che da sempre sono la costola più pacifica delle confessioni religiose maomettane del Vicino Oriente, i mistici dell’islam, i cultori dell’esoterismo di discendenza ermetica, i fedeli che pregano danzando.
I sufi, proprio per la loro natura ascetica e contemplativa, sono inclini all’amore, non certo all’odio, alla saggezza, non certo alla violenza – ed è questa la loro colpa.
Joseph-Charles Mardrus racconta la favola della Regina di Saba e del Re Salomone-Solimano, mescolando le varie versioni della leggenda, incrociando la parola biblica con quella coranica, l’esoterismo del derviscio con la sapienza di ogni religione che sia vera portatrice di pace. Ci chiediamo: siamo ancora capaci di vedere il mondo come un luogo di dialogo?
La Regina di Saba
di Joseph-Charles Mardrus
In verità, fu un destino meraviglioso quello della giovane Bilqis, regina di Saba. E la contrada in cui visse e regnò, la contrada di Saba, nell’Arabia Felix, ha la fortuna di essere per noi, con le sue due brevi sillabe musicali, più di una mera realtà geografica, perché è diventata un paese di sogno e d’incanto.
Questa terra leggendaria ha lasciato dietro di sé, nel corso dei secoli, un tale solco di luce e di poesia, che essa rimane miracolosamente l’unico luogo del pianeta di cui la Bibbia e il Vangelo abbiano parlato con ammirazione.
E noi, a nostra volta, ammiriamo il fatto che questa Regina antica ci abbia lasciato in eredità e come unico tesoro soltanto la Virtù di un Nome, e che questo Nome prestigioso viva da tanto tempo e susciti sempre in noi la figura forse più esaltante della Bellezza.
Perché la virtù di un Nome come quello non è soltanto una magia, ma un’entità più indistruttibile dei monumenti di granito che ci ha lasciato la più lungimirante antichità. E questa magica virtù di un Nome è efficace perché appartiene al territorio senza armatura, senza scheletro, senza carne e senza ossa della Spiritualità.
Si racconta dunque che, nell’antichità del tempo e nel passato delle epoche e dell’attimo – per parlare come parlano gli anziani – viveva, nella terra felice di Saba, nel paese dello Yemen, una regina bambina, figlia di re, il cui nome benedetto era Bilqis, che gli yemeniti pronunciavano Balkama.
Era una vergine adolescente la cui vita era meraviglie e stupori. Fiore tra i fiori d’Arabia, era ornata di Bellezza dal Creatore della Bellezza, profumata dalla sua propria essenza e dall’ambra pura della sua natura.
Sul suo volto magico risplendevano due lunghi occhi bianchi e neri, con oro e diamanti. E in quegli occhi di antilope, il nero mangiava il bianco, all’ombra dei pugnali ricurvi delle ciglia. E l’occhio stesso era così allungato da apparire sempre di fronte, anche quando era di profilo.
E questa bambina miracolosa respirava e regnava, candida, frigida ancora e languida. E, perla inviolata, ella si isolava nello splendore della sua carne intatta e nel mistero del suo intimo turbamento.
Quella notte era la Notte del Destino di cui parla il Corano, notte più preziosa di mille anni.
Perché ecco che sulla terrazza più alta del palazzo, si udì la voce che taceva dalla nascita di Bilqis.
Era la voce del Lettore degli Astri che cantava: “Oh Bilqis, viso d’ambra, oh sovrana! La stella Canopo, che sorge nel cielo occidentale, viene a dormire nel nostro cielo”.
“Egli è seduto. Chi è seduto? Diadema e corona, scettro in mano, barba ondulata, tutto d’oro… È grande nel pensiero, in magnificenza e in gloria, il più bello tra gli umani, re dei geni e degli umani, degli animali e degli uccelli, dei quattro venti e dei quattro orizzonti”.
E Bilqis, dal fondo del suo terzo appartamento, che era come un tulipano, la udì. E, languida, sorrise. Ma, frigida ancora, si rannicchiò; e, candida, si addormentò. Fino all’arrivo della sua vecchia nutrice Sarahil.
Ma qualcuno, dal fondo del suo regno lontano, sul letto del suo trono, non dormiva, ed era il giovane re Solimano, il padrone dei Geni, degli Uccelli, dei Quattro Venti e dei Quattro Orizzonti. Era scosso dal tumulto del suo cuore, pensando alla principessa di Saba. E siccome per tutta la notte non riuscì a chiudere occhio, tormentò il Sigillo talismanico che aveva al dito.
E subito il Capo dei Djinni e degli Ifrit si presentò a lui e baciò la terra tra le mani del Padrone del Sigillo, dicendo: “Eccomi tra le tue mani! Ascolto e ubbidisco”.
E Solimano gli disse queste semplici parole: “A me, in un batter d’occhio, la mia messaggera, l’upupa magica Yafur!”
E l’upupa magica Yafur, Hud Hud, dall’occhio perspicace, si presentò al cospetto del suo Padrone, per rendergli conto della sua missione presso la Principessa Bilqis di Saba. E, dopo salam e prosternazioni, l’upupa parlò e così disse:
“Oh terra di Saba, oh sua capitale, in mezzo alle montagne! In essa ci sono sorgenti, gemme d’acqua, molte, molte… C’è uva e fichi, e limoni dolci, in quantità, in quantità… E albicocche sui rami, a due a due. E negli orti, di un verde profondo, meloni la cui polpa è spessa quattro palmi. Là ci sono rose con sessanta petali, il cui profumo intenerisce il cuore… E, nella parte orientale, c’è l’incenso. E io, mio padrone, giunsi, inebriata di odori, nella capitale Mareb, residenza di Bilqis, e vi entrai smarrita. E, superate sette porte, penetrai dolcemente nel Palazzo, fino al settimo appartamento, che era come la violetta. E mi posai senza rumore, discreta, nell’ombra dell’ombra. E vidi – visione tra le visioni – sul letto di un trono d’argento alto trenta gomiti, dietro una grande tenda color dei mari quando sono profondi, la Faraona adolescente, sola con la sua bellezza dei sedici anni. Ed era una bellezza da perdere il dono della vista, più armoniosa lei da sola, nella sua immobilità, di tutto un coro di danzatrici. E ora pongo sulle mie labbra il sigillo del silenzio”.
Quando il re Solimano ebbe inteso le parole dell’upupa magica Yafur, ne comprese i Quattro Significati. E il suo petto si dischiuse. Sentì il suo cuore danzare.
Ecco la storia di Solimano e di Hud Hud, l’upupa magica.

In copertina: Jean-Paul Ferrero, Simpson Desert
C’è un precetto fondamentale dell’Ermetismo che bisogna penetrare a fondo prima di solcare la soglia del meraviglioso. E questo è il precetto:
“Se si conosce il vero nome di un essere, foss’anche di un dio, si conosce l’essere stesso, si conosce la sua forza, e si può utilizzare quella forza per piegarlo ed evocarlo. Perché vi è identità tra il Vero Nome e l’essere nominato. Ed è la ragione per cui la mera enunciazione di un fenomeno ardentemente desiderato basta sovente a suscitare quel fenomeno.
Perché vi sono parole o formule che, pronunciate da voce umana, secondo riti rigorosamente fissati, penetrano fino al fondo di quello stesso essere. Si può, allora, agire con energia invincibile sulle intelligenze e mobilitare forze ancora sconosciute”.
L’uomo, abbandonato senza difese al destino, può dunque giungere, con la più severa disciplina, con l’Ascesi, ad afferrare la divinità stessa e a porla al suo servizio. Egli può dunque lottare contro le forze inesorabili della dea Fortuna, e impedire loro di condensarsi in fatalità: dovrà solo parlare. Potere formidabile. L’essere umano non è più solo e disarmato contro la Sorte. Possiede un’arma terribile: il Verbo.
Ma questo Verbo, padrone degli dèi e degli elementi, dominatore della Sorte, vincitore della fatalità – questo Verbo non creato ma creatore che vogava sulla superficie delle acque, nei tempi primevi, che cos’è in fondo, qual è la sua essenza?
Noi lo rappresentiamo con lettere misteriose quanto il Verbo stesso, e queste lettere trovano rispondenza in cifre non meno misteriose.
In definitiva, questo Verbo serve a rendere il grido, cioè a dire il richiamo che ogni essere lancia all’indirizzo dell’oggetto desiderato. Desiderio! Ed ecco la passione. Ed ecco l’Amore. Ecco il grande Demiurgo. Il mondo, grazie all’Amore, è salvato dalla distruzione.
E ciò ci riporta alla Regina Adolescente Bilqis di Saba, nel momento in cui la sua vecchia nutrice Sarahil va a trovarla; e al re Solimano, e all’upupa magica. Ed ecco la vecchia Sarahil che, vestendo Bilqis una mattina, le dice:
“Oh mia divina padrona, che questa mattina sia tutta bianca sulla tua fronte di aureola. Perché questa mattina è per te, per decreto divino, annunciatrice d’Amore”.
Quando l’adolescente di meraviglie e di stupori ebbe udito dalle labbra della sua nutrice, per la prima volta, quella parola Amore, a lei sconosciuta, sentì un grande turbamento scendere fino alle sorgenti della vita. Palpitava dolcemente, senza riuscire a parlare.
E Sarahil le disse:
“Chi mai, tra i Saggi della Saggezza, non è stato schiavo dell’amore? E quale sufi della più alta spiritualità, prima di intraprendere il Sentiero, e di votarsi alla Divina Amica, alla Sophia eterna, non ha conosciuto la passione d’amore, perdutamente?”
E Bilqis mormorò: “Oh Sarahil, mia nutrice! Che cos’è l’amore?
Sarahil rispose: “Un mistero, come la vita, ma più eterno ancora. Prima della vita, era l’amore. Durante la vita, l’amore è. E dopo la vita, l’amore sarà”.
E Bilqis: “Qual è il suo sembiante?”
La nutrice rispose: “La scintilla nella pietra. Il diamante nella terra”.
E la giovane: “Come arriva?”
Ella rispose: “Ospite insidioso, si presenta nell’ora segnata dal Destino. Penetra nelle vene del cuore, e lo colma. Da quel momento, di te non resta nulla, null’altro che il tuo nome: tutto il resto è amore”.
E Bilqis: “È cosa preziosa da possedere?”
“È l’unica cosa al mondo che sia qualcosa”.
“Può essere sostituita da altro?”
“Se il Dio creatore dà, al posto dell’amore, tutto ciò che possiede, non dà nulla”.
“E la forza, l’ambizione, la gloria?”
“Sentimenti schiavi. Chi è dominato da essi è schiavo degli schiavi”.
E Bilqis: “Oh Sarahil, mia nutrice, le tue parole aprono il mio cuore sopito e lo sospingono verso una vita sconosciuta”.
E la giovane si sedette, la testa contro le ginocchia ripiegate, e il cuore in tumulto.
E la nutrice disse: “Oh mia padrona, perché questo cuore?”
Ella sospirò e si rivolse al suo cuore, dicendo: “Cuore mio, non rivoltarti contro di me”.
Sarahil disse: “Quando l’amore entra, vive del sangue del nostro cuore, e da quel momento non ha altra compagnia all’infuori di lui”.
Per questo il sufi disse a uno dei suoi discepoli: “Tu che ancora non conosci l’amore, e che vuoi intraprendere il Sentiero della Verità, vai prima a incontrare l’amore, e annienta il tuo essere in lui. Se sopravvivi a questa esperienza, allora torna a me. Sarai maturo per entrare nella Verità”.
A queste parole della nutrice, Bilqis rialzò la sua testa sacra e, guardando la Visione del suo proprio spirito nell’azzurro del primo mattino: “Oh tu che violi lo spirito immortale nella sua più intima dimora, ospite insidioso e seducente…” Ma non riuscì a finire e sospirò: “Oh nutrice…”
Allora Sarahil si inginocchiò, si purificò le mani sul fumo del sacro olio dell’acclamazione, che sempre bruciava nel braciere regale, e ciò la esaltò. Poi, sempre in ginocchio, tracciò intorno alla sua regina un cerchio magico, con un magnete, e volse il palmo della sue mani rinsecchite verso il cielo. Supplicante, per incanto deprecativo, giusta nel timbro e nella successione, pronunciò verso l’Invisibile la formula dell’incanto:
“Per il Grande Nome, l’Ineffabile, che non è dato pronunciare e per la sua potenza, ti invoco e ti supplico, Oh Sorte, ti imploro e ti scongiuro, oh Sorte! E per il Sabaoth, che abita il Thor, e per la sua sublimità. E per il numero Sette; e per i Sette Nomi che da essi derivano: il Bello, l’Uno, il Donatore, l’Antico, il Periglioso, il Primo, l’Ultimo. E per le Sette Parole Divine, i Sette Giorni della Creazione, i Sette Climi, i Sette Oceani, i Sette Cieli, le Sette Pleiadi, le Sette Costellazioni e i Sette Astri che ruotano, ti invoco, oh Sorte! E per il Nome Supremo inscritto nel cuore del Pianeta Luna; e per la Formula Siriaca, la più temibile delle formule; e per i caratteri misteriosi scritti sulle ali di Gabriele! E per la Foglia Verde la cui verzura bruciò nella fiamma, ma di cui lo scheletro restò indenne con il Nome inscritto su di essa, ti invoco, oh Sorte! E per la forza terribile dell’Angelo metà di ghiaccio e metà di fuoco; e per il Guardiano Incorruttibile della Montagna del Fumo, ti invoco, oh Sorte! E per tutti i depositari di Misteri, coloro che non è permesso nominare: Mussem, Jussem, Semsem; Ablakil, Mablakil, Kil, Shablakil; Tahitt, Mohitt, Hitt, Sahitt; Giahtut, Mahtut, Tutt, Darghut; Hablakan, Mablakan, Kan, Shablakan, ti invoco, oh Sorte! E per tutti coloro che non mi è possibile nominare, ma che i miei sovrani invocano, i Sette Re Sacri, Servitori Luminosi di Lui: Izrafel, Azrael, Gibrael, Michail, Aniael, Hebrael, Deniael, ti invoco, oh Sorte! E per i miei Sovrani, Re figli di Re: Abumalik, Hud, Ghut, Attarek, Abidun e Maimun, i Prediletti della Tamerice, del Sunbul, dello Zolfo Rosso, e della Curcuma, ti invoco, oh Sorte! E per i Dieci Cieli Astronomici, e i loro Dieci Geni Immateriali, Signori delle Salamandre, ti invoco, oh Sorte! E per il Padrone di tutti, il Primo tra i Primi, il Signore dei Signori il cui nome è la sillaba EL, ti invoco, oh Sorte! Per tutte queste potenze, ti supplico, e per il tuo Nome Segreto che non pronuncio, ti invoco e ti scongiuro, oh Sorte! Allontana da noi la bocca malvagia, la lingua malvagia, il respiro malvagio, la forza maligna, la parola maligna, l’occhio maligno. Allontana da noi il male figlio del male, discendenza del male. Che non pesi sui nostri occhi, che non pesi sul nostro petto, che non trafigga il nostro cuore! Oh Elargitore, fa’ sì che il Maligno stia lontano, il Lapidato! Che lontano sia dalla nostra voce ciò che deve stare lontano! Che tutto, nel nostro cammino, sia veridico, leale, senza equivoco, senza ambiguità! Che tutto ciò che ci deve accadere sia per il meglio, per il meglio. E che non siamo nel novero degli oppressi! Che non siamo nel novero dei miscredenti; ma che siamo nel novero degli Eletti dell’Amore! E così sia”.
E quando ebbe pronunciato la sua invocazione e lanciato il suo esorcismo, la vecchia Sarahil passò tre volte le mani sul suo volto e uscì dal cerchio magico.
Allora, la regina adolescente Bilqis, illuminata dal Fluido Divino, eredità degli Antenati Faraoni, Fluido che, dalla sua nascita, era assopito in lei e si era appena risvegliato, Bilqis si alzò sui suoi bei piedi. Fino ad allora languida nella frigidità dell’infanzia, ella sorse dal letto del Trono, fiore sbocciato sul suo calice. E, il volto ispirato, avanzò con decisione ed entrò nel cerchio incantato da cui la sua nutrice Sarahil era appena uscita. Un attimo, e fu l’esaltazione. Poi levò verso il cielo del mattino le mani candide; e con sacra intonazione, ciò disse:
“Oh Dama delle Altitudini, sovrana degli incanti! Per la tua parola purificatrice, per la tua madre augusta, per il tuo corpo intero e per la tua mano, io ti invoco! E per il cielo più alto, che è cristallo, e per il cielo più vicino, che è azzurro e zaffiro, io ti invoco! E tu, Luce! Luce delle altitudini dei cieli lontani! E tu, vigore d’Asia, madre mia, nutrice di eroi e di Profeti, e tu Spazio, spazio libero, patria risplendente! E tu, Casa dell’Oceano, foresta odorosa di onde, sciame di odori marini, purificante. E tu, burrasca dei Poli che contrai l’universo, e voi, tempeste che correte da settentrione all’austro, e voi, vascelli d’incanto che traversate i fiumi! E tu, Signore della luna nuova! E tu, visione fascinatrice, fidanzata velata! Oh me stessa! E voi tutti, dèi della notte! Vi invoco e, con voi, invoco la notte, la sera, la mezzanotte e il mattino! E tu, divino Signore del Silenzio, mio maestro, il più grande dei grandi, Guida di chi non ha nulla, ti invoco! Ecco! Immolerò dinanzi a te, mio Signore, fin dall’aurora, il più veloce dei miei destrieri e farò portare alle tue dimore, in offerta propiziatoria, mille pani, cento ceste di datteri, cento scodelle di burro, dieci pesate di incenso e mille misure di miele. Ma tu, oh Donatore, dacci in cambio il solo bene inaccessibile, il Sentimento! Il Sentimento che non perisce né va in rovina, di cui trema per l’emozione il nostro cuore e di cui io non conosco, da questa prima aurora, che il nome, così dolce tra tutti gli altri nomi, e che non oso dire né pronunciare”.
E quando ebbe pronunciato questa invocazione, Bilqis passò tre volte le candide mani sul suo viso e uscì, a sua volta, dal cerchio magnetico.
Nel momento in cui Bilqis e la nutrice stavano per lasciare il Settimo Appartamento, un Personaggio fece la sua entrata inattesa. Dal soffitto, forse, fece la sua entrata il Padrone degli Umani e dei Geni, degli Animali e degli Uccelli, dei Quattro Venti e dei Quattro Orizzonti, il Re Solimano in persona – barba arricciata con il calamistro, tutto d’oro.
E subito una luminosità di sogno regnò nel Settimo Appartamento, che divenne come il giacinto. E da una musica di arpe invisibili discesero le note su un diapason sottile come un capello di cristallo. E al ritmo di questa musica dell’infinito, danzatore sacro, il Re Solimano si estasiò. Braccia distese, il palmo della mano rivolto al cielo nel gesto di colui che riceve, e l’altro rivolto alla terra nel gesto di colui che dà, la testa ripiegata sulla spalla destra come su un cuscino di nuvole, gli occhi chiusi, il Re Solimano danzava. Volto dell’extra mondo, corpo ondeggiante su un oceano di estasi, ombra che un soffio sembrava far piroettare, senza rumore né scosse, egli danzava, e solo la punta dei suoi alluci toccava terra. E appariva, nella sua veste dischiusa, ondeggiante, come il fiore sul calice, come l’uccello sulle sue ali.
Danzava intorno a Bilqis dalla ciglia abbassate; volteggiava da destra a sinistra, nella stessa direzione del moto del Sole. Sette volte girò, mentre la nota invariata di cristallo, a goccia a goccia, accompagnava sul tempo di cinque e in contrappunto, questo canto sufi:
Sono l’atomo vorticoso,
sono lo splendore del Disco.
Sono la luce del mattino, sono l’ultima sera.
Sono il dentro di ciò che è dentro.
Sono il desiderio del desiderio.
Sono la pianta che rinasce anima,
sono l’anima che rinasce uomo.
Sono l’uomo che rinasce angelo,
sono l’angelo che rinasce inaudito.
Sono l’inaudito che rinasce mai visto,
sono il mai visto che rinasce nulla.
Sono il nulla. Sono il nulla.
E quando ebbe girato sette volte, il danzatore sacro, giunto di fronte alla regale adolescente, si fermò bruscamente.
Le sue braccia erano ora incrociate sul petto, le mani sulle spalle. E la veste era ricaduta a spirale intorno alle sue gambe ormai tranquille.
Si inchinò profondamente dinanzi a Bilqis, poi alla sua sinistra, poi alla sua destra. E, indietreggiando, cominciò a svanire. E, poco alla volta, svanì sempre più e scomparve, come l’ombra svanisce e scompare, come scompare il profumo del basilico e della rosa.
Questo fu il primo incontro d’amore tra Bilqis, la Regina Bambina, e il Padrone del Sigillo Talismanico, ed è così che ebbe preludio il grande Mistero d’Amore di Bilqis di Saba, Regina del Mattino, e di Solimano, Padrone dei Geni.
Ma ecco che, nel frattempo, l’upupa Hud Hud Yafur entrò, uccello discreto, ombra del suo padrone. Abbassò modesta la cresta dorata, accordò la sua voce sulla tonica della quarta corda di un liuto tetracordo che un Ifrit musico teneva sulle ginocchia e, uccello magico, intonò sul ritmo ramel questo canto d’Amore:
Quando nulla esisteva, l’Amore solo esisteva.
E quando più nulla resterà, solo l’Amore esisterà.
È il Polo della vita,
e il compagno all’angolo della tomba.
Oh tu, che ti dirigi verso la via dell’Amore,
che prepari per il tuo cuore la triaca,
e per la tua anima la giuggiola,
che frequenti la Divina Amica
nella solitudine del tuo cuore,
se tu mi dici: oh sufi, il cui orecchio è impuro,
che cosa hai compreso di tutto ciò che ti circonda?
Del ronzio della mosca,
della marcia senza fine delle carovane,
della corsa delle nuvole
sotto la spinta dei venti del Sud,
del rumore delle acque gorgoglianti,
del gemito delle colombe,
dell’incenso dei fiori notturni,
della voce del liuto e del flauto?
Risponderò, risponderò fin nella tomba:
tu sei il mio tutto, sei la mia sufficienza, Amore!
Questo fu il canto dell’upupa magica Yafur, serva dell’Unico, messaggera dell’Amore.
Queste sono solo alcune delle ricchezze spirituali incluse nel modesto thesaurus che chi scrive ha l’onore di rivolgere ai lettori. Ma tutto ciò ha senso solo se serve a proiettare la luce della Lampada di Aladino sui concetti spirituali dell’antica patria delle Leggende
È nella terra dimenticata dei Re Magi dell’Epifania che si sono in parte sviluppate le radici poetiche che il vecchio Oriente sublimò più tardi nel vocabolo sufi, o Sentiero della Sophia eterna, della Divina Amica.
Vivere della Divina Amica è vivere con la Dea interiore che abita i cuori bruciati dall’Amore.
Vivere nel sufi è, per i cuori bruciati dall’Amore, vivere nell’angolo del raccoglimento, sul tappeto della rinuncia, sulla stuoia della meditazione.
È agire in una vita che aspetta ricompensa solo in se stessa.
Per questo, se vogliamo addentrarci nel Sentiero dell’Amore, dobbiamo trovare in noi stessi il nostro Ritmo personale, il nostro Ritmo vitale.
Senza di esso, che nessuno può rivelarci all’infuori di noi stessi, e che si arriva a scoprire dopo lunghe meditazioni, e attraverso la concentrazione sul tappeto del raccoglimento; senza la scoperta di questo ritmo interiore, personale, non saremmo che morti viventi, votati a vocazioni casuali, senza disciplina, senza influire beneficamente su chi ci circonda, senza splendore e senza dignità.
Possa il ricordo dell’immortale Bilqis di Saba, simbolo dell’Amore ideale, spingerci su questa strada ma se, in grazia di un bel Destino, già ci siamo, possa durare attraverso la rivelazione del nostro vero Ritmo interiore.
1918-1921
Traduzione di Biancamaria Bruno
Joseph-Charles Mardrus (1868-1949) fu medico e orientalista franco-egiziano. Arabista, curò l’adattamento delle Mille e una notte in francese, come anche la traduzione del Corano.