Cent’anni dal genocidio degli armeni
Il grande male, n. 92/2007
Henry Morgenthau
1918
Henry Morgenthau (1856-1946), nato in Germania da famiglia ebraica emigrato in America nel 1866, divenne avvocato di successo e membro del Partito Democratico. Fu ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso l’Impero Ottomano negli anni 1913-1918, all’indomani dell’elezione del Presidente Woodrow Wilson, di cui aveva seguito attivamente la campagna elettorale. Fu Wilson a offrirgli la carica di ambasciatore. Quando le autorità ottomane avviarono lo sterminio degli armeni nel 1914-1915, la scrivania di Morgenthau fu sommersa dai rapporti dei consoli americani delle varie regioni dell’Impero che documentavano i massacri e le deportazioni che stavano avvenendo. Alla fine della Prima guerra mondiale, Morgenthau partecipò alla conferenza di pace di Parigi in qualità di consigliere per l’Europa orientale e il Medio Oriente.
Henry Morgenthau è autore di The Murder of a Nation, Armenian General Benevolent Union of America Inc., 1965. Nel volume Ambassador Morgenthau’s Story, Book Jungle, 2006, racconta la sua storia di diplomatico.

Karl-Otto Götz, Senza titolo, 1953
POCHE NAZIONI hanno sofferto quanto l’Armenia. Sono tanto terribili e continue le atrocità di cui è stata vittima che la stessa parola Armenia è diventata, per la maggior parte di noi, sinonimo di martirio. Le sue sofferenze durante la catastrofe odierna sono state maggiori di quelle di chiunque altro nella storia del mondo. Nessuno degli spaventosi orrori perpetrati nelle varie zone di guerra è paragonabile al tragico destino degli armeni.
Questo mio articolo ha lo scopo di abbozzare i contorni della questione armena e di esporre brevemente le ragioni per cui l’attuale governo turco ha cercato di annientare questo popolo inerme, intelligente, industrioso e amante della pace, e i modi cui le autorità hanno fatto ricorso per sterminarlo.
Pur se privati dell’indipendenza politica, gli armeni non si sono mai integrati con i loro conquistatori, i turchi. Si sono aggrappati con tenacia alle loro tradizioni razziali, alla loro lingua e ai loro ideali. La loro antica storia – contemporanea a quella degli assiri, dei babilonesi, dei medi e dei parti – è tuttora per loro fonte d’orgoglio, e la loro religione – la cristianità – è, ed è stata, la grande forza morale che li ha sostenuti e ispirati, permettendo loro di resistere agli attacchi delle innumerevoli orde, provenienti dall’Asia Centrale e dirette verso l’Europa, che hanno attraversato i loro territori.
Da Habdul Hamid ai Giovani Turchi
La rivoluzione dei Giovani Turchi del 1908, che ha avuto come risultato la deposizione del sultano Abdul Hamid, è stata salutata dal mondo intero come l’alba di una nuova era per la Turchia. Tutti sono stati felici dell’avvento di un governo moderno e progressista al posto di quell’odiata tirannia. I più entusiasti sono stati proprio gli armeni. Essi hanno offerto immediatamente il loro sostegno al nuovo partito, che prometteva a tutti i cittadini uguali diritti sotto un governo costituzionale. Non è il caso di approfondire, in questa sede, il fatto che l’operato del governo sia stato una terribile delusione, dopo le grandi aspettative che aveva suscitato. I massacri di Adana del 1909 e l’atteggiamento dispotico e sciovinista dei Giovani Turchi hanno spazzato via le illusioni degli armeni e li hanno convinti del fatto che il rapporto conquistatore/conquistato, così come era durato sino a quel momento, non sarebbe cambiato. L’uguaglianza e la libertà tanto attese non si sono attuate. Nel 1913 il trattamento degli armeni è diventato così intollerabile che essi si sono appellati ai governi europei per chiedere aiuto. Dopo mesi di negoziati è stato raggiunto un accordo: la Sublime Porta avrebbe permesso a due ispettori europei di esercitare funzioni di supervisione nei sei vilayet[1] armeni. L’incarico è stato assegnato ai Signori Hoff e Westeneg, il primo svedese e il secondo olandese, che sono arrivati a Costantinopoli per ricevere istruzioni; ma non avevano ancora fatto in tempo a sistemarsi che è scoppiato il Conflitto Europeo: il governo turco ha revocato prontamente il loro incarico e ha chiesto loro di lasciare il paese.
I mesi di agosto, settembre e ottobre del 1914, quando la Turchia era ancora neutrale, si sono dimostrati il grande punto di svolta nella storia del paese. I turchi si sono mobilitati immediatamente: hanno abrogato i diritti capitolari dei sudditi stranieri, hanno chiuso tutti gli uffici postali stranieri, hanno aumentato le tasse doganali, e hanno colto ogni altra occasione di trarre vantaggio dal fatto che le grandi potenze fossero in guerra. L’essere riusciti a impedire che gli Alleati attraversassero i Dardanelli li ha fatti sentire conquistatori, e ha risvegliato in loro la speranza di tornare ad essere una potenza mondiale. La Guerra ha dato al governo turco l’occasione tanto attesa di attaccare gli armeni. Il primo atto del governo turco è stato quello di chiamare alcuni dei loro leader per avvertirli del fatto che, se anche un solo armeno avesse dato il minimo aiuto ai russi nel caso in cui questi ultimi avessero invaso la Turchia, non avrebbero perso tempo a fare indagini e avrebbero punito l’intera razza. Nella primavera del 1914 i turchi hanno messo a punto il loro piano per distruggere gli armeni. Se la sono presa persino con i loro stessi antenati per non aver eliminato o convertito al musulmanesimo le razze cristiane appena conquistate. A quel punto, visto che quattro delle grandi potenze erano in guerra fra loro e le altre due erano loro alleate, hanno pensato che fosse giunto il momento di porre rimedio all’errore dei loro avi, giungendo alla conclusione che, una volta messo in atto il loro piano, le Grandi Potenze si sarebbero ritrovate davanti al fatto compiuto, e che il loro crimine sarebbe stato perdonato com’era avvenuto con i massacri del 1895/6, quando le Grandi Potenze non avevano rivolto al sultano nemmeno l’ombra di un rimprovero. I turchi avevano arruolato nell’esercito gli armeni abili senza, però, fornire loro le armi; li utilizzavano per costruire strade o per svolgere ogni sorta di lavoro umile. Poi, col pretesto di perquisire le case in cerca di armi, hanno saccheggiato tutti i loro beni, hanno requisito ogni cosa per le necessità dell’esercito, senza dare nulla in cambio, e hanno preteso che versassero somme esorbitanti al Comitato di Difesa Nazionale.
Le deportazioni di massa
La misura finale e più terribile usata contro gli armeni è stata la deportazione dell’intero loro popolo, costretto ad abbandonare le case e ad andare in esilio nel deserto, con tutti gli orrori che questo comportava. Non sono stati forniti mezzi di sostentamento né di trasporto. Le vittime, tra cui uomini colti e donne di alto rango, sono state costrette a mettersi in cammino, alla mercè di bande criminali organizzate appositamente. Le case sono state letteralmente sradicate; le famiglie divise; gli uomini uccisi, le donne e le ragazzine violentate lungo la strada o portate negli harem. I bambini sono stati gettati nei fiumi o venduti agli stranieri dalle stesse madri perché non morissero di fame. I fatti descritti nelle testimonianze pervenute all’Ambasciata, rese da testimoni oculari assolutamente degni di fede, trascendono le crudeltà più bestiali e diaboliche mai inflitte o immaginate nella storia del mondo.
Le autorità turche hanno interrotto ogni comunicazione tra la capitale e le province, nell’ingenua convinzione di poter perpetrare questo crimine epocale prima che ne giungesse notizia al mondo esterno. Ma le informazioni sono filtrate grazie ai consoli, ai missionari, ai viaggiatori stranieri e anche agli stessi turchi. Nel giro di poco tempo siamo venuti a sapere che i governatori delle province avevano ricevuto l’ordine di mandare in esilio l’intera popolazione armena sotto la loro giurisdizione, indipendentemente dall’età o dal sesso. Gli ufficiali locali, con poche eccezioni, hanno eseguito gli ordini alla lettera. Tutti gli uomini abili sono stati arruolati o disarmati. Il resto della popolazione, vecchi, donne e bambini, sono stati trattati nel modo più crudele e oltraggioso.
Ho avuto cura, affinché i fatti fossero catalogati accuratamente, di conservare copie fedeli delle dichiarazioni che mi sono state rese dai testimoni oculari dei massacri. Tra queste dichiarazioni vi sono relazioni di rifugiati di ogni sorta, di missionari cristiani e di altri testimoni. Nell’insieme, esse costituiscono un resoconto inconfutabile di alcune delle fasi del grande massacro, che condanna agli occhi del mondo i brutali assassini di questa razza. La maggior parte del materiale in mio possesso è stato già pubblicato nell’ottima raccolta di documenti realizzata dal visconte Bryce.
La testimonianza di un missionario tedesco
Citerò soltanto un documento. Strano a dirsi, questa dichiarazione mi è stata rilasciata direttamente da un missionario tedesco, ed è stata trascritta all’ambasciata.
Spesso non sapevamo dove nasconderci. Da ogni parte, potevano spararci dalle finestre; durante la notte era ancora peggio. L’infermiera e io stavamo sdraiati sul pavimento per evitare i colpi. Le mura dell’orfanotrofio erano state sfondate dalle cannonate. Siamo stati costretti a lasciare gli orfani da soli. Secondo un ordine del governo, dovevamo consegnare tutta la nostra gente, adulti o bambini che fossero. Ogni mia richiesta o supplica è stata vana. Ci hanno dato la loro parola d’onore che avrebbero dato loro assistenza e che li avrebbero mandati a Ourfa. Allora mi sono rivolto al Mutessarif.[2] Nel suo ruolo di Primo Comandante, stava accanto a un cannone. Non ha voluto nemmeno ascoltarmi: si era trasformato in un mostro assoluto. Quando l’ho implorato di risparmiare almeno i bambini, ha risposto: “Non puoi pretendere che i bambini armeni restino soli con i maomettani; devono andarsene con il loro popolo.” Ci hanno permesso di tenere con noi solo tre ragazzine come domestiche.
Quello stesso pomeriggio mi sono arrivati i primi, terribili racconti, ma non ho saputo se crederci fino in fondo. Sono stati i mugnai e i fornai, di cui il governo aveva bisogno, i primi a ricevere le notizie. Gli uomini erano stati legati tutti insieme e uccisi fuori dalla città. Le donne e i bambini erano stati portati nei villaggi vicini, ammassati a centinaia nelle case, e poi bruciati vivi o gettati nel fiume. I nostri edifici si trovavano nel quartiere principale della città, e le notizie arrivavano abbastanza in fretta. E poi vedevamo passare donne e bambini coperti di sangue, in lacrime… chi può descrivere quelle immagini? Aggiungete a questo la vista delle case in fiamme e il puzzo dei molti cadaveri bruciati.
Nel giro di una settimana era quasi tutto finito. Gli ufficiali si vantavano del loro coraggio, perché erano riusciti a sterminare l’intera razza armena. Tre settimane dopo, quando siamo partiti da Mush, i villaggi stavano ancora bruciando. Non doveva rimanere niente che appartenesse agli armeni, né in città né nei villaggi.
Solo a Mush vivevano 25.000 armeni; inoltre, nella provincia c’erano 300 villaggi con una forte presenza di popolazione armena.
Siamo partiti alla volta di Mezreh. I soldati che ci accompagnavano ci mostravano con orgoglio dove e come e quanti armeni avevano ucciso.
Siamo stati felici di vedere, arrivando ad Harput, che gli orfanotrofi erano pieni. Ma questo è il massimo che si possa dire. Mamuret-ul-Aziz è diventata il cimitero di tutti gli armeni; tutti gli armeni dai vari vilayet sono stati mandati lì, e quelli che non sono morti lungo la strada hanno trovato lì la loro tomba.
Altra cosa terribile accaduta a Mamuret-ul-Aziz: la popolazione ha subìto torture per due mesi; e hanno trattato più duramente le famiglie della classe agiata. Pezzi di legno inchiodati ai piedi, alle mani, al petto; unghie, barbe e sopracciglia strappate; piedi ferrati, come si fa con i cavalli; altri venivano appesi a testa in giù sui gabinetti… oh! Vorremmo tanto credere che tutto questo non sia vero. Perché la gente non udisse le grida di agonia delle povere vittime, alcuni uomini si piazzavano attorno alla prigione in cui venivano commesse queste atrocità con tamburi e fischietti.
Il 1° luglio, i primi 2.000 sono stati obbligati a lasciare Harput. Erano soldati, e si diceva che avrebbero costruito strade. La gente ha cominciato ad aver paura. A quel punto il Vali[3] ha chiamato il missionario tedesco, il Signor ***, e lo ha pregato di tranquillizzare la gente; gli dispiaceva molto che tutti avessero quei timori, etc. etc. I soldati erano partiti da meno di un giorno: li hanno ammazzati tutti sulle montagne. Sono stati legati insieme e, quando i curdi e i soldati hanno preso a sparare, alcuni sono riusciti a fuggire nel buio. Il giorno dopo altri 2.000 sono stati mandati verso Diarbekir. Tra quei deportati c’erano molti nostri orfani (maschi) che lavoravano da un anno per il governo. Anche le mogli dei curdi avevano i coltelli e ammazzavano gli armeni. Alcuni di questi sono riusciti a fuggire. Quando il governo lo ha saputo, ha ordinato che i deportati fossero lasciati senza cibo per due giorni perché fossero troppo deboli per provare a scappare.
Tutti i prelati cristiani armeni, insieme al loro vescovo, sono stati assassinati.
Rimanevano solo pochi commercianti di cui il governo aveva bisogno, e per questo non erano stati deportati. Poi anche a loro è stato ordinato di partire, e sono stati ammazzati.
Il numero delle vittime
Il massacro degli armeni, a giudicare sia dalle cifre che dai metodi utilizzati, è stato il più terribile crimine mai perpetrato nella storia dell’umanità. Per questo sentiremo domandare spesso: quanti armeni sono stati assassinati o sono morti di fame o di stenti? Quanti sono stati obbligati a un esilio miserabile? Stando all’importante raccolta di documenti del visconte Bryce, ecco una sintesi accurata dei fatti.
Nel 1912, l’intera popolazione armena nell’Impero Ottomano veniva stimata tra il 1.600.000 e i 2.000.000 di persone. Di queste, 182.000 sono fuggite nel Caucaso Russo e 4.200 in Egitto. 150.000 risiedono tuttora a Costantinopoli. A questo conteggio va aggiunto il numero relativamente esiguo dei sopravvissuti, che adesso vivono nascosti o si sono sparpagliati nelle province più remote.4 Dobbiamo concludere che un milione di armeni sono stati strappati alle loro case nei villaggi pacifici e popolosi dell’Asia Minore. Ne sono stati uccisi tra i 600.000 e gli 800.000. I rimanenti, ridotti in una condizione miserevole, bisognosi di tutto, tendono la mano verso la comunità cristiana d’America.
La responsabilità tedesca
Veniamo adesso a una questione di vitale importanza. In che misura il governo tedesco è responsabile della deportazione e dello sterminio degli armeni? Lo dirò a voce alta: il governo tedesco avrebbe potuto impedire tutto questo. I miei sforzi continui e incalzanti di ottenere appoggio in favore degli armeni dall’Ambasciatore tedesco, il barone Wangenheim, sono stati vani. Nei nostri frequenti incontri ho cercato di spaventarlo all’idea che il mondo avrebbe considerato la Germania responsabile dei crimini del suo alleato. Anche dal punto di vista economico, ho insistito, non sarebbe stato un bene per la Germania lasciare che i turchi distruggessero gli elementi costitutivi della nazione, perché ciò avrebbe significato la rovina dell’Impero Turco. Se la Germania si fosse infine impadronita della Turchia non avrebbe trovato altro che un guscio vuoto! Quando ho capito che le mie argomentazioni servivano a poco, ho suggerito al mio governo di far pressione sul Ministero degli Affari Esteri a Berlino, col fine di far inviare istruzioni all’Ambasciatore tedesco a Costantinopoli affinché intervenisse per far cessare i massacri. Il risultato è stato una misera nota inviata dall’Ambasciata tedesca alla Sublime Porta in cui si protestava per le atrocità commesse dai turchi. Il solo scopo di questa nota era sollevare il governo tedesco da ogni responsabilità. E non ha sortito, comunque, effetto alcuno. Non ho il minimo dubbio sul fatto che i tedeschi avrebbero potuto mettere fine all’orrore sin dall’inizio.
L’operato della Croce Rossa Americana in Turchia è stato molto efficace. È stato limitato solo dai fondi disponibili. Mentre ero in Turchia la nostra organizzazione nazionale, oltre a fornirci fondi per continuare il nostro lavoro, ci ha spedito ingenti quantità di medicinali e di vestiario. In questo momento ci sono pochi soldati feriti, e perciò l’organizzazione della Croce Rossa in Turchia è libera di aiutare i civili in difficoltà, compresi i rifugiati armeni. La Croce Rossa Americana ha destinato sinora 1.800.000 dollari alle operazioni di soccorso in Siria e in Armenia.
Nessuna soluzione al problema armeno può essere considerata definitiva. Ma una cosa appare evidente: gli armeni devono essere liberati dal giogo della Turchia.
Mi chiedo: quattrocento milioni di cristiani, che hanno il pieno controllo su tutti i governi d’Europa e d’America, saranno capaci di perdonare le nuove offese arrecate dal governo turco? Avranno anche loro il coraggio, come i tedeschi, di stringere la mano insanguinata del Turco, di perdonarlo e di conferirgli, come ha fatto il Kaiser Guglielmo, le più alte decorazioni al valore?
Il vergognoso regime di terrore, la tortura crudele, la segregazione delle donne negli harem, la corruzione di ragazzine innocenti, molte delle quali vendute per pochi centesimi, l’assassinio di centinaia di migliaia di persone e la deportazione nel deserto di altre centinaia di migliaia che poi sono perite di stenti, la distruzione di villaggi e città, l’esecuzione di questo piano diabolico per sterminare gli armeni, i greci e i siriani cristiani di Turchia – tutto questo resterà impunito? La nostra viltà permetterà, o peggio, incoraggerà ancora i turchi a trattare tutti i cristiani in loro potere come “cani miscredenti”? O finalmente faremo qualcosa per salvare dai loro artigli i sopravvissuti di questo antico popolo cristiano, civile e nobile?
Traduzione di Giulia Tiradritti
[1] In turco, “provincia musulmana” [N.d.T].
[2] In turco, “autorità amministrativa” [N.d.T].
[3] In turco, “governatore di provincia” [N.d.T].
[4] Dalla data di redazione di questo articolo, il numero di chi ha trovato rifugio in Russia è più che raddoppiato, così come è notevolmente aumentato il numero di coloro che si sono trasferiti in province lontane.
Leggi anche Turchia: il massacro degli armeni, Philippe Videlier