La leggenda di Maometto

Quattrocentoventimila anni prima della creazione dei cieli – o della terra o dell’empireo o del trono o della tavola della legge o della penna divina o del paradiso o dell’inferno – Dio creò la Luce di Maometto. di Eliot Weinberger

maometto

La Luce passò attraverso venti mari di luce, e ognuno conteneva le scienze che nessuno comprendeva all’infuori di Dio stesso. E quando la Luce emerse dall’ultimo mare, i mari caddero in adorazione e formarono centoventiquattromila gocce di luce, e ogni goccia era un profeta della grande processione che circondava la Luce.
Da quella Luce Dio poi formò una gemma e la divise in due. Una metà divenne le acque, ed Egli pose l’altra metà su quelle acque e divenne l’empireo. Poi creò il trono che sfavillava dall’empireo, e dal trono le tavole della legge, e dalla tavola la penna divina.
Egli ordinò alla penna di scrivere, ma la penna restò perplessa per un migliaio di anni. “Che cosa dovrei scrivere?”
“Non c’è Dio all’infuori di Dio e Maometto è l’Apostolo di Dio”
“Chi è questo Maometto di cui pronunci il nome insieme al tuo?”
“Oh penna, se lui non esistesse, io non ti avrei potuta creare”.

La creazione del mondo

Poi Dio creò il paradiso e gli angeli e, dal vapore sprigionato dall’acqua della gemma divisa in due, i sette cieli, e dalla schiuma dell’acqua le sette terre. Ma questo mondo beccheggiava come una barca in mare, così Dio collocò le montagne a tenerlo fermo. Creò un angelo che reggesse la terra, e una roccia smisurata su cui l’angelo potesse stare, e un toro sulla cui groppa stava la roccia, e un pesce a sorreggere il toro. Il pesce sta nell’acqua, l’acqua nell’aria, l’aria nell’oscurità; ma dove stia l’oscurità solo a Dio è dato saperlo.
Poi creò le anime dei fedeli, e il sole e la luna e le stelle, e il giorno e la notte, e la luce e l’oscurità, e una moltitudine di angeli. La Luce di Maometto rimase per settantatremila anni nell’empireo, poi settantamila anni in paradiso, e poi altri settantamila al Sidret al-Muntaha, l’albero del settimo cielo che nessuno può oltrepassare, dove la Luce rimase finché Dio decise la creazione di Adamo, padre dell’umanità.
L’angelo Izrail raccolse polvere da tutti gli angoli della terra – polvere bianca, nera e rossa, soffice e dura: per questo le sembianze dei figli di Adamo sono così varie, e per questo il profeta disse che i figli di Adamo sono tutti uguali, come i denti di un pettine – e l’angelo Jibril la portò là dove sarebbe sorta la tomba di Maometto, mescolandola con l’acqua per plasmare un uomo. Dio ordinò allo spirito di Adamo di entrare nel suo corpo, ma lo spirito protestò perché l’entrata era troppo stretta. Così Dio decretò che per sempre lo spirito sarebbe entrato malvolentieri nel corpo dell’uomo, e malvolentieri ne sarebbe uscito.
Quando lo spirito entrò nei suoi occhi, ed egli vide il suo stesso sembiante e gli angeli cantare in sua lode, Adamo starnutì. Allora Dio gli conferì il dono della parola, ed egli urlò: “Alhamdulillah!”, “Grazie a Dio!” La Luce di Maometto irradiava dal dito indice di Adamo, e dalla fronte di sua moglie, Hawwa, e dal loro figlio Shays, e dalla moglie di questo, la bella uri, Mohavela, e dal loro figlio, Anush. Era con Abramo, quando fu gettato nella fornace di Nimrod, con Nuh nell’Arca, con Yunus nello stomaco del pesce, e ancora di generazione in generazione, finché non raggiunse Abd al-Muttalib, e suo figlio Abdallah, la cui radiosità gli meritò il nome di Lampada della Città Sacra, e sua moglie Amina, la perla-conchiglia del gioiello della profezia.

Nascita del profeta Maometto

Nel giorno della nascita del profeta, Amina disse di avere udito innumerevoli voci, che nulla avevano di umano, e di aver visto uno stendardo fatto della seta del paradiso, issato su un’asta color rubino, che colmava tutto lo spazio compreso tra cielo e terra. In qualche modo, ella vide i palazzi di Damasco, sfolgoranti come fiamme, e una moltitudini di uccelli che le volteggiavano intorno. Apparve un giovane, più alto e più bello e più elegantemente vestito di chiunque ella avesse mai visto, che prese il bambino e lasciò cadere un po’ di saliva dalla sua bocca in quella del piccolo. Aprì il petto del bambino e ne tirò fuori il cuore, lo aprì e ne trasse un’unica goccia nera. Poi tirò fuori un astuccio di seta verde che conteneva un’erba sconosciuta e la pose nel petto del bambino, e vi passò sopra la mano. Il giovane e il bambino parlavano una lingua che lei non capiva. Poi egli trasse da un astuccio bianco un anello con sigillo e lo pigiò tra le spalle del bambino, e gli diede una camicia per proteggersi dalle calamità del mondo.
La notte della nascita di Maometto, ogni idolo vacillò. I palazzi di Kesry, imperatore della Persia, tremarono, una delle sue cupole si spaccò in due, e quattordici torri crollarono. Il lago Sawwa, che era stato venerato come un dio, scomparve e divenne una pianura salata. I sacri fuochi di Fars, che avevano bruciato per migliaia di anni, si estinsero. Settanta colonne di luce apparvero tra cielo e terra, ciascuna di un colore diverso, e la Kaaba si alzò e cominciò a librare sulla Mecca. La mattina seguente, tutti i re della terra trovarono i loro troni rovesciati all’indietro.
Quella notte, il grande pesce Tamusa, capo di tutto quel che nuota in mare, con settecentomila code e settecentomila tori che camminano in su e in giù per la sua groppa, ognuno con settantamila corni di smeraldo – gregge di cui Tamusa non è consapevole, perché sono moscerini rispetto alla sua immensità – in quella notte il grande pesce si dimenava dalla gioia, e se Dio non lo avesse calmato, la terra sarebbe stata travolta.
Il profeta nacque circonciso.
Nei primi giorni dopo la nascita di Maometto, la madre Amina non ebbe latte, e dunque lo zio Abu Talib attaccò il bambino al suo seno e il latte sgorgò abbondante. Fu presa una balia, Halima, della tribù di Banu Saad. Maometto poteva prendere il latte solo dal suo seno destro – quello sinistro era per il figlio di Halima.
A quattro mesi, sua madre Amina morì, lasciandolo orfano, poiché il padre Abdallah era morto pochi mesi prima della sua nascita.
Il piccolo non si sporcava mai; tutto quel che naturalmente produceva veniva subito ricevuto e nascosto dalla terra. Non mandava mai cattivo odore, ma emanava solo la fragranza della canfora e del muschio. A tre mesi, si alzò in piedi; a nove, camminò; a dieci se ne andava con i fratelli di latte a pascolare le greggi; a quindici mesi praticava il tiro con l’arco e chi lo vedeva pensava che avesse cinque anni.
Da bambino, dormiva nella camera dello zio, ma gli cambiava le lenzuola di nascosto. Di notte lo si udiva pregare. Spesso, un uomo bellissimo appariva vicino al suo letto, gli toccava la testa e scompariva. Era sempre solo, con una luce che dalla sua fronte irradiava i cieli. Di rado rideva, e non giocava mai con alcuno né guardava gli altri giocare.
Non sapeva né leggere né scrivere. Si dice che non ne aveva bisogno, perché tutto conosceva per divina ispirazione. Sul suo letto di morte, chiese un calamaio e la scapola di una pecora per scrivere le sue ultime volontà, e la gente pensò che fosse un segno del suo delirio finale.
Aveva tre berretti, uno dei quali era bianco. Quando si rivolgeva alla gente si appoggiava a un esile bastone. Aveva un bastone da passeggio che si chiamava Memshuq, una tenda di nome Akan, una tazza di nome Matba e una ciotola chiamata Rayy. Due cavalli: Erbaz e Sekeb. Due muli: Duldul e Shaba. Due cammelle: Ghasba e Jedan. Un asino di nome Yafur e un cammello da soma di nome Dibaj. Aveva quattro spade – Zulfakar, Aun, Mejzim e Rasun – un elmo chiamato Asad, una cotta di maglia chiamata Zat al-Fazul, uno stendardo di nome Akab e una bandiera di nome Malum. Il suo turbante si chiamava Sahab. Possedeva due porte rosse.
Quando l’asino Yafur fu catturato da Maometto, quello subito imparò a parlare e disse di provenire da una discendenza di settanta generazioni cavalcate solo da profeti. Disse di essere l’ultimo della sua discendenza, perché Maometto era l’ultimo dei profeti, e di averlo aspettato e di non aver permesso a nessun altro di montarlo. Yafur si dolse tanto della morte del profeta che si gettò in un pozzo che divenne la sua tomba.

Le imprese di Maometto

Maometto era alto, ma non altissimo. La sua testa era grande. I suoi capelli né ricci né lisci, divisi in due nel mezzo. Il suo volto era bianco, la fronte spaziosa, con una vena che si faceva prominente quando si adirava. Le sopracciglia fini, lunghe, arcuate; la gente diceva che sembrava ne avesse una sola. Il naso era sottile e aquilino; la luce risplendeva da quel naso. Era così lungo che quando beveva quasi toccava l’acqua. La barba era folta e piena, con diciassette peli bianchi che brillavano come il sole; le labbra non erano carnose. Aveva un neo sul mento. I denti erano grandi e bianchi, il collo liscio e dritto, come una statua. Le spalle larghe, le articolazioni forti e scavate, gli arti simmetrici. Il petto e lo stomaco formavano una linea perpendicolare, con una strisciolina di peli neri al centro. Non aveva peli sotto le ascelle. Alcuni dicono che il sigillo divino tra le sue spalle era un’escrescenza carnosa, altri che era un viluppo di peli. Le dita erano lunghe, il palmo grande, mani e piedi grandi. La pianta del piede era profondamente scavata, la parte superiore liscia e morbida, tanto che, se una goccia d’acqua gli cadeva sul piede, subito rotolava via. I suoi passi erano lunghi, lenti, pieni di dignità; camminava sempre come fosse in discesa. Teneva la testa china, perché il dolore pesava sulla sua mente.
La luce irradiava dalla sua fronte, e di notte sembrava il chiarore della luna. Si profumava con ambra, muschio e zibetto, e spendeva più in profumi che in cibo. Tempo dopo, le gente avrebbe capito dalla fragranza che aleggiava nell’aria che Maometto era passato di là. Non produceva ombra, quando stava al sole. Quando qualcuno gli stava vicino, appariva sempre più basso di lui di una spanna. Mai gli uccelli volavano sulla sua testa. Poteva vedere dietro di sé senza girarsi. Sentiva tutto anche quando dormiva. L’acqua zampillava tra le sue dita e i nove sassolini che teneva in mano intonavano inni. Mai fece un sogno bagnato. Un animale cavalcato da lui non invecchiava mai. Nessun insetto lo infastidiva. Nella terra soffice non lasciava traccia, ma la sua impronta spiccava sulla roccia più dura.
Diceva che non si sarebbe mai stancato di fare cinque cose: mangiare per terra con i suoi servi, cavalcare un asino con una coperta al posto della sella, mungere le capre con le sue mani, indossare indumenti di lana, e accogliere festosamente i bambini.
Una volta trovò per terra una briciola di pane, la raccolse e la mangiò, dicendo che dobbiamo apprezzare i favori che Dio ci concede.
Mangiava soprattutto acqua e datteri, o latte e datteri. Tra tutti i frutti prediligeva l’anguria e l’uva. Mangiava carne, ma non cacciava. Inzuppava il pane in olio e aceto. Dopo mangiato, leccava il piatto e le sue stesse dita, e poi si lavava. Chi mangiava con Maometto udiva voci alzarsi dal cibo.
Una volta convertì un gruppo di non credenti evocando i resti del cibo che quelli avevano mangiato. I piatti scesero dal cielo. Maometto chiese al cibo di raccontare chi aveva mangiato che cosa, e ogni boccone rispose: il mio padrone ha mangiato questo e questo, i suoi servi questo e quest’altro, e ciò che vedete è ciò che resta. Chiese al cibo di dire chi era lui, e il cibo rispose: “Tu sei il profeta di Dio”.
Di notte, quando i suoi discepoli se ne andavano, egli poneva la mano fuori della porta di casa, e la luce che promanava dalla sua mano illuminava la strada.
Un celebre dottore andò a curare Maometto malato:
– Perché sto male?
– Perché dici di essere un profeta
– Sei tu il malato perché affermi che io non sono un profeta.
Maometto chiamò, e una palma, enorme e lontana, si sradicò, si avvicinò, si inchinò e disse: “Che cosa mi ordini di fare, profeta di Dio?”
Spaccò la luna in due e la rimise insieme. Fece sorgere il sole poco dopo il tramonto. Pose un sasso in mezzo alla strada che né persona né animale sfiorò neppure accidentalmente.
Un altro sasso, sulla bocca di una sorgente in un giardino, lo salutò, e gli chiese di non diventare una pietra dell’inferno. E Maometto pregò in sua grazia.
Un cammello si lagnò con lui perché lavorava tanto ma aveva poco da mangiare. Maometto chiamò il padrone del cammello, il quale ammise che era vero.
Un lupo accettò di vegliare su un gregge di pecore, così che il pastore potesse unirsi a Maometto.
Maometto credeva che ai lupi dovesse essere concesso di mangiarsi qualche pecora che pascolava ai margini del gregge. Ma condannava che si uccidessero i ragni, perché una volta, sfuggendo ai nemici, egli si era nascosto in una grotta e un ragno aveva intessuto una tela enorme all’entrata. Quando i nemici erano giunti, avevano visto la ragnatela e avevano pensato che nessuno fosse entrato nella grotta.
Toccava le orecchie delle pecore e quelle diventavano bianche, e pure la loro discendenza aveva le orecchie bianche.
Diceva che ci sono angeli che proteggono gli alberi da frutto, perché altrimenti gli animali selvatici si mangerebbero tutti i frutti. Vietava ai suoi seguaci di fare i loro bisogni sotto gli alberi da frutto, perché avrebbero offeso gli angeli.
Un infedele gli disse: “Crederò in te quando questa lucertola lo farà”, e trasse dalla manica una lucertola verde. La lucertola parlò con grande eloquenza: “Oh ornamento di tutti coloro che si riuniranno per il giudizio, Tu condurrai i puri in paradiso…”
Un uomo andò da Maometto e disse che, anni prima, prima che trovasse la fede, aveva portato la figlioletta nel deserto e là l’aveva abbandonata. Maometto gli disse: “Vieni, mostrami il luogo”. Là chiamò la giovane per nome e lei apparve, tornata alla vita. Maometto disse: “Tua madre e tuo padre sono diventati musulmani. Se vuoi, ti ricondurrò da loro”. Ma la giovane rispose: “Non ho bisogno di loro. Dio è più buono con me di quanto non lo siano stati loro”.
Fece crescere i capelli in testa a un calvo.
Quando gli fu chiesto che cosa causi la somiglianza di un bambino con il padre o la madre, egli rispose: “un eccesso di seme”. Ossa, vene e nervi derivano dal padre; la carne, il sangue, le unghie e i capelli dalla madre.
Non stringeva la mano a una donna. Così, a suggellare un patto, egli poneva la mano in una brocca d’acqua e poi la donna faceva lo stesso.
Diceva che i bei sogni vengono da Dio e quelli brutti da Satana. E dunque i bei sogni possono essere raccontati agli altri, ma mai quelli brutti. Diceva che chi gioca a scacchi è come chi si colora la mano nel sangue di un maiale.
Quanto alla poesia, era ambivalente: donò un mantello, che ancora esiste, al poeta Kab ibn Zuhayr che aveva scritto un panegirico. Ma diceva anche che riempirsi lo stomaco di pus è meglio che imbottirsi il cervello di poesia.
A quel tempo, si credeva che l’anima di un uomo ucciso assumesse le sembianze di un uccello che piangeva fin quando l’omicida non veniva ucciso. Maometto disse che ciò non era vero. Disse che non ci sono stelle che promettano pioggia.

La sequenza delle mogli di Maometto

A venticinque anni, Maometto sposò una ricca vedova, Khadija, che ne aveva quaranta. Ella partorì sette dei suoi otto figli: tre maschi che morirono e quattro femmine. Per ventiquattro anni e un mese, finché lei non morì, non sposò altre donne, e le sue mogli future dovettero adattarsi alla nostalgia e al dolore di lui.
La seconda moglie, Sawda, aveva sessantacinque anni ed era vedova. Timorosa di essere ripudiata, cedette le sue notti con Maometto alla terza moglie, Aisha. Ella disse che, sebbene non le piacesse giacere con gli uomini, voleva essere resuscitata con le mogli del profeta.
Sposò Aisha, nota per la sua sapienza e suo spirito, che aveva sei anni, e consumò le nozze quando ne compì nove. Tra tutte le sue mogli, fu l’unica vergine. Quando fu accusata di adulterio, su Maometto scese un versetto che provava la sua innocenza. Facevano il bagno insieme; lui pregava tra le braccia di lei; e ricevette versetti tra le sua braccia; morì tra le sue braccia, quando lei aveva diciotto anni, e fu sepolto nella casa di lei. Una volta chiesero a Maometto quale fosse la persona da lui prediletta. “Aisha”. “No, tra gli uomini”. “Suo padre”, replicava Maometto. Diceva che paragonare Aisha alle altre donne, era come paragonare il tarid, un piatto di pane e carne, a un cibo qualsiasi.
Quando pensava di prendere moglie, mandava una donna ad annusare il collo della promessa sposa. Diceva che se il collo era odoroso, così sarebbe stata l’intera persona. Veniva esaminato anche il collo del piede; e, se era grassoccio, così sarebbe stata l’intera persona.
Umm Shuraik della tribù di Azd si concesse al profeta come “omaggio”, e su di lui scese un versetto che diceva che ciò era accettabile. Hafsa era una vedova di diciotto anni, bella, istruita, ma irascibile. Il primo marito di Umm Habiba, nonostante gli avvertimenti della moglie, si fece cristiano, prese a bere, morì e andò all’inferno. Umm Salama era una vedova con due bambini; suo marito era morto nella battaglia di Uhud. Le fu chiesto se l’amplesso con il profeta era uguale a quello con gli altri uomini, e lei disse di sì. Così Jibril portò a Maometto un piatto preparato dalle uri del paradiso, che gli diede la forza virile di quaranta uomini, ed egli visitò tutte le sue quaranta mogli in una sola notte.
Zaynab, figlia di Jahsh, era sposata a Zayd, uno schiavo che Maometto aveva affrancato e adottato come un figlio. Maometto andò a trovare Zayd e non volendo vide Zaynab discinta; se ne innamorò. Zayd si offrì di divorziare da lei ma Maometto rifiutò finché non ricevette un versetto che diceva che loro due erano già sposati in paradiso. Così Dio stesso gliela diede in sposa.
Anche il marito di Zaynab, figlia di Khuzayma, era caduto nella battaglia di Uhud; ella morì dopo otto mesi di matrimonio. Maymuna era divorziata, ma poco è noto di lei. Juwayriyya, figlia del capo di Khuzaa, era stata fatta prigioniera con la sua tribù di Banu Mustaliq; suo marito era stato ucciso nel combattimento. Poiché il profeta non poteva avere parenti schiavi, affrancò l’intera tribù. Safiyya, figlia di Huyay, aveva diciassette anni ed era ebrea, ed era stata catturata a Khaybar, dopo che suo marito era morto in battaglia. Anche Rayhana era ebrea, catturata dalla tribù di suo marito, la Banu Qurayza.
Ci fu Aulia, che ripudiò prima che il matrimonio venisse consumato. Alle sue nozze con Fatima, figlia di Dhahhaak, su Maometto scese un versetto che gli ordinava di chiedere alle sue mogli di scegliere tra Dio e i beni terreni. Fatima scelse il mondo, lasciò Maometto, e finì a raccogliere sterco di cammello per le strade, maledicendo il suo destino.
Il profeta morì prima che Shinya gli fosse condotta. Asma fu tratta in inganno dalla gelosia di Aisha e di Hafsa: le dissero che con Maometto doveva fare la riservata, e che doveva rifiutare i suoi favori. Così lui la rispedì alla sua tribù. Per calmare l’ira di Maometto, un discepolo gli offrì la sorella Qutaila, che stava in Yemen; la mandarono a chiamare, ma Maometto morì prima che lei arrivasse. Anche Makila venne ingannata da Aisha, rifiutò il profeta e fu da lui rifiutata. Amra, figlia di Yazid, si scoprì che era lebbrosa. Maometto sposò Sana, che morì prima di raggiungerlo.
Un giorno, mentre Maometto sedeva con la schiena al sole, Layla lo toccò sulla spalla. E il profeta disse: “Chi è? Possano i leoni mangiarti!”, che era un gioco che spesso faceva. Lei rispose: “Sono la figlia di colui che nutre gli uccelli e gareggia con il vento”. E si offrì di sposarlo. Lui accettò e la rimandò al suo villaggio ad aspettare i suoi ordini. Le amiche le dissero che era stato un errore: Layla era gelosa e Maometto aveva molte mogli. Fece ritorno da Maometto e gli chiese di rinunciare a lei. Lui accettò, ma poi Layla fu veramente mangiata da un leone. Si dice che fosse scostumata e che cavalcasse il suo asino in maniera oscena.
Maometto si offrì a Umm Hani, ma lei sposò lo zio e fece molti bambini. Quando lo zio morì, fu lei a offrirsi a Maometto, ma era troppo tardi. Il primo marito di Dhaba morì e la lasciò molto ricca; il suo secondo marito era impotente e lei divorziò; il terzo marito morì. La sua bellezza era leggendaria: quando sedeva occupava gran parte del tappeto e il suo corpo era coperto dei suoi lunghi capelli. Maometto le offrì di sposarla, ma cambiò idea quando scoprì che si era fatta vecchia.
La tribù di Safiyya, figlia di Bashshama, venne catturata e Maometto cercò di convincerla a divorziare dal marito, ma lei rifiutò e fu maledetta. Khawla, figlia di Hakim, gli si offrì, ma fu rifiutata. Umama, la figlia della sua balia, voleva sposarlo, ma era sua sorella di latte, e ciò era proibito. Khawla, figlia di Hudsail, sposò Maometto, ma morì prima di arrivare da lui. Shurafa, della tribù di Kalb, aveva un bellissimo neo sul mento, e non è noto perché Maometto, dopo essersi proposto, non l’abbia sposata. Ce ne fu un’altra il cui nome è oggi dimenticato, il cui padre non voleva che lei sposasse Maometto, così egli affermò che quella donna era lebbrosa, e la malattia immediatamente la colpì.
Oltre alle mogli, c’erano due serve che Maometto andava a trovare regolarmente: Mariyya la Copta e Kihana, entrambe mandategli da Mukawkis, governatore di Alessandria. Trascorse ventinove notti di seguito con Mariyya la Copta, e si dice che apparve sulla porta di casa così madido di sudore da suscitare la furia delle altre mogli; lo scandalo fu tale che il profeta minacciò di divorziare da tutte. Fu l’unica donna oltre a Khadija che gli diede un figlio: un bambino che morì.
Maometto diceva che nel Giorno del Giudizio tutti si sarebbero trovati riuniti a piedi scalzi, nudi e non circoncisi. Sua moglie Aisha gli chiese: “Oh Messaggero di Allah, donne e uomini saranno insieme? E si guarderanno?” E il profeta rispose: “Aisha, ci sarà ben altro da fare che guardare!”

Tra ebrei e cristiani

Buraq era un animale del paradiso, più grande di un asino e più piccolo di un cammello, con volto umano, zoccoli come un cavallo e la coda come quella di un toro. La sua criniera era fatta di perle, le sue orecchie di smeraldi, i suoi occhi risplendevano come il pianeta Venere, e tra i suoi occhi era scritto “Non c’è altro Dio all’infuori di Dio e Maometto è il Suo profeta”. Aveva il dono della ragione. Una notte, guidato dall’angelo Jibril, Maometto cavalcò Buraq dalla Mecca al tempio di Gerusalemme, fino nei cieli e all’inferno e all’empireo e a Bayt al-Mamur, la moschea nel cielo sopra alla Kaaba.
Mentre andavano, Maometto udì una voce alla sua destra, che ignorò, e una voce alla sua sinistra, che ignorò. Vide una donna dalle braccia nude, ornata di tutti gli ornamenti di questo mondo, che gridava: “Guardami, lascia che ti parli!”, ma Maometto la ignorò. Poi udì un tremendo fragore che lo riempì di paura.
Si fermarono al Monte Sina, dove Dio aveva parlato con Musa, e a Baytlakhem, dove Issa era nato. Entrarono nella moschea di Gerusalemme. Maometto ricevette tre vasi, di vino, acqua e latte. Udì una voce che gli ordinava di bere il latte, e Jibril gli disse che lui e i suoi seguaci avevano trovato una guida.
Jibril chiese a Maometto che cosa aveva visto lungo la strada, e gli spiegò che la voce sulla sua destra era quella degli ebrei; se le avesse dato ascolto, lui e i suoi seguaci sarebbero diventati ebrei. La voce sulla sua sinistra era quella dei nazareni; se le avesse dato ascolto, sarebbero diventati cristiani. La donna era il mondo; se Maometto avesse parlato con lei, lui e i suoi seguaci avrebbero preferito questo mondo al futuro. Il tremendo fragore era il suono di una roccia che era precipitata all’inferno settant’anni prima e che in quel momento aveva raggiunto il fondo dell’abisso.

L’angelo della morte

Jibril condusse Maometto nel primo cielo, e gli presentò Ismail, signore delle meteore e principe di quel luogo, che apriva i cancelli. Incontrarono un uomo dal colorito pallido, che guardava la sua mano destra e rideva, e che piangeva guardando la sua mano sinistra. Era Adamo, che gioiva all’idea che i suoi figli andassero in paradiso e si doleva al pensiero di quelli che erano destinati all’inferno. Vide un angelo seduto con il mondo sulle ginocchia e una tavola di luce in mano, che l’angelo fissava con implacabile malinconia. Era l’angelo della morte, che disse a Maometto che non v’è casa sulla terra i cui abitanti egli non osservi per cinque minuti al giorno, e quando i parenti piangono per la dipartita di un congiunto, egli dice loro di trattenete le lacrime, perché li visiterà ancora e ancora, finché non uno resterà.
Vide un gruppo di uomini, seduti a una tavola imbandita con i cibi più deliziosi e con la carne più putrida, mangiare la carne putrida. Vide un angelo di smisurata grandezza, e metà del suo corpo era di neve e metà di fuoco, ma il fuoco non scioglieva la neve e la neve non spegneva il fuoco. Quest’angelo gridava: “Santo santo santo è il Signore che conserva integro l’elemento conflittuale del mio essere”.
Vide uomini che avevano labbra come quelle del cammello, e vide gli angeli che tagliavano con le forbici la carne ai lati delle loro bocche e che gliene gettavano in bocca i pezzi. Vide uomini che si percuotevano la testa con le pietre. Vide gli angeli rovesciare fuoco nella bocca di altri uomini, e il fuoco passare attraverso i loro corpi. Vide uomini dalle bocche cucite con aghi e fili di fuoco. Vide chi non riusciva ad alzarsi per l’enorme stomaco.
C’erano donne appese per i seni, e donne per i capelli. C’erano donne appese per la lingua, e da una fontana infernale il piombo fuso che colava nelle loro bocche. C’erano donne che arrostivano su un fuoco e che mangiavano la loro stessa carne; donne, legate mani e piedi, tormentate da scorpioni. C’era una donna cieca, muta e sorda chiusa in una bara di fuoco, e il suo cervello che le colava dalle narici. C’erano donne che divoravano le loro stesse interiora; donne con testa di porco e corpo di asino; donne in forma di cane, percosse dagli angeli con mazze di fuoco.
Ovunque nei cieli Maometto vide angeli dallo sguardo fisso di sgomento e paura, la testa immobile, che mai si rivolgevano parola, ma che pronunciavano le lodi del Signore.
Salirono al secondo cielo, dove incontrarono Issa, e suo cugino Yahyah, che lo aveva battezzato. Nel terzo cielo incontrarono un uomo la cui bellezza sorpassava quella di ogni altro uomo, come la luna supera le stelle, ed era Yusuf dal mantello multicolore, l’interprete dei sogni. Nel quarto stava Idris; nel quinto Harun, fratello di Musa, un anziano dagli occhi enormi; nel sesto, Musa stesso, con la sua pelle chiara e il lunghissimi capelli.

Il settimo cielo

Nel settimo cielo, vide mari di luce risplendente, mari di oscurità, e mari di neve. Ogni angelo che incontravano diceva a Maometto di usare liscivia per guarire la gente, e di istruire i suoi seguaci affinché facessero lo stesso. Incontrò un vecchio con capelli e barba bianca che sedeva sotto un albero che aveva le mammelle come quelle di una mucca, e a ogni mammella era attaccato un bambino. Ogni volta che una mammella sfuggiva dalla bocca di un bambino, il vecchio si alzava a rimettere a posto le cose. Jibril gli disse che era suo padre, Ibrahim, e i bambini erano i futuri profeti che assaggiavano i frutti del paradiso.
Vide un gallo che aveva le zampe nella terra più bassa e la cui testa toccava l’empireo; le sue ali erano bianche, e quando le apriva, esse raggiungevano i limiti dell’est e dell’ovest, e le piume inferiori erano verdi. Ogni mattina questo gallo cantava le lodi di Dio, e quando lo faceva tutti i galli della terra si univano al suo canto.
Giunsero a Bayt al-Mamur, la moschea proprio sopra la Kaaba, e videro due gruppi di persone; uno in begli abiti bianchi e l’altro vestito di stracci, e solo quelli in bianco potevano entrare. Vide i quattro fiumi del paradiso – uno di acqua di cristallo, uno di latte, uno di vino, uno di limpido miele – e i palazzi lungo le rive in cui Maometto e la sua famiglia avrebbero vissuto. Il suolo era puro muschio; c’erano uccelli grandi come cammelli e melagrane grandi come secchi. Vide Tuba, l’albero del paradiso, il cui tronco è così grande che ci vogliono settecento anni perché un uccello possa girargli attorno, e i suoi rami si estendono a portare l’ombra in ogni casa e da essi pendono mille e mille frutti diversi e cesti pieni di broccati e vesti di seta. Vide colui che pensava essere suo cugino Ali, ma era un angelo fatto da Dio a immagine di Ali.
Jibril diede a Maometto una mela cotogna, che egli aprì e una uri apparve con lunghe ciglia nere, vestita di settanta vesti verdi e settanta vesti gialle di tessuto finissimo, e lei stessa era così trasparente che il midollo delle caviglie le si vedeva come una fiamma in una lampada di vetro. “Chi sei?”, chiese Maometto. “Il mio nome è Felicità. La parte superiore del mio corpo è fatta di canfora, il centro d’ambra, la parte inferiore di muschio. Sono stata modellata nelle acque della vita. Dio mi disse di essere, e io fui”.
Vennero a un fiume di luce, dove Jibril disse di bagnarsi ogni giorno, e ogni goccia che cadeva creava un angelo che parlava una lingua incomprensibile agli altri. Al di là del fiume erano cinquecento tende di luce, e tra ogni tenda un viaggio di cinquecento anni, e dietro l’ultima tenda c’era Dio. Jibril disse di non poter andare più in là di un passo, ma che Maometto avrebbe potuto attraversare il fiume e continuare il viaggio.

Traduzione di Biancamaria Bruno